Negli ultimi due anni, la supply chain globale è stata costantemente esposta a innumerevoli rischi. Questo, come si è poi realmente verificato in alcuni casi, ha significato il blocco dell’offerta di beni e servizi al consumatore, con tutte le implicazioni che ciò può avere sul piano dell’economia globale.
Il primo grande colpo è stato quello del 2020, con i lockdown generalizzati che hanno portato a una forte contrazione della domanda, ma, al tempo stesso, a un forte aumento dei risparmi.
Già ai primi lockdown, infatti, si è assistito a una sorta di effetto domino lungo tutta la catena distributiva: le attività produttive hanno sospeso le proprie produzioni, riducendo le scorte sia di materie prime che di prodotti finali. Alla ripresa, quando le famiglie avevano accumulato grandi risparmi da spendere e i governi avevano fornito massicci aiuti finanziari, il rimbalzo della domanda, l’offerta non è più stata in grado di reggere le richieste. Le scorte ridotte ai minimi, la congestione delle infrastrutture portuali e altri problemi legati alla manodopera hanno fatto sì che la ripresa economica sia stata frenata rispetto a quella che avrebbe potuto determinare la domanda.
Non a caso, secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale, senza le difficoltà incontrate lungo la catena distributiva, il Prodotto Interno Lordo dell’area euro sarebbe potuto essere più alto del 2%. Quando poi il ritorno graduale alla normalità, con il miglioramento dei livelli delle scorte e l’evasione degli ordini residui, era compiuto, le famiglie avevano ormai esaurito i risparmi. A questo, poi, si sono aggiunte altre questioni. Come, per esempio, l’approccio intransigente della Cina, con le nuove varianti attualmente in essere. I nuovi lockdown imposti prima a Shenzhen e poi a Shanghai hanno provocato nuove ripercussioni sulle catene di approvvigionamento. Il porto di Shanghai, per esempio, è rimasto intasato e le navi sono state costrette a dirigersi verso altri porti, che, ben presto, hanno finito col terminare gli spazi a loro disposizione. In Germania, a causa di ciò, un’azienda su due ha visto le proprie catene distributive interrotte oppure carenti a causa della situazione cinese. Le ricadute di questa situazione sono state anche sul piano delle tariffe per il trasporto marittimo.
L’ultimo colpo fornito alla supply chain è stato quello del conflitto russo-ucraino. Una situazione che potrebbe produrre conseguenze ancora peggiori rispetto a quanto avvenuto sinora. In primo luogo, molte delle materie prime provenienti dai paesi coinvolti hanno visto un’inevitabile riduzione. È il caso, per esempio, delle forniture energetiche: gas e petrolio su tutte, i cui costi sono inevitabilmente aumentati. Poi ci sono forniture alimentari, come il grano, ma anche minerali e metalli che proprio in Russia e Ucraina vengono estratti in grandi quantitativi. C’è poi la questione delle sanzioni e controsanzioni, che pure stanno già provocando i loro effetti sulle catene di distribuzione. Basti pensare, per esempio, al blocco del trasporto aereo, che di fatto risulta bloccato.
Tutti questi fattori stanno spingendo i principali attori della logistica a ridisegnare lo scenario delle catene distributive. Molte catene distributive si stanno organizzando per affidarsi a prodotti entro i confini nazionali oppure entro quelli di paesi alleati. È il caso dei semiconduttori, la cui crisi ha messo in ginocchio più di un settore e la cui importanza non può essere più trascurata all’interno delle politiche industriali di qualsiasi paese.